Un Anno Fa…Pagelle Giro d’Italia 2019: Movistar inattaccabile, amarezza Nibali e Roglic, flop Jungels e Yates, Giovani italiani emergono
Richard Carapaz (Movistar), 9: Con i se e con i ma non si va da nessuna parte. L’ecuadoriano ha conquistato il Giro d’Italia 2019 con merito, attaccando quando doveva farlo e controllando quando era il momento. Certo, giocandosela completamente alla pari forse l’esito sarebbe stato diverso, ma non lo sapremo mai con certezza, mentre quel che resta è, meritatamente, il suo nome inciso per sempre nel Trofeo Senza Fine.
Mikel Landa (Movistar), 8,5: Il basco ancora una volta si trova nella forma giusta al posto sbagliato. Forse l’uomo più forte in salita era lui, ma dimostra la sua grande professionalità restando fedele al suo capitano, pagando molto cara l’allergia che nelle prime tappe lo ha condizionato e gli ha fatto perdere così tanto terreno. Resta chiaramente il rammarico di un’altra occasione sprecata, ispirando anche umana simpatia e compassione.
Pascal Ackermann (Bora-hansgrohe), 8,5: Dominatore delle volate finché è tutto intero, continua la corsa con più p*lle che pelle dopo la terribile caduta di Modena. Sofferente, perde la sua Maglia Ciclamino ma non si arrende, stringendo i denti fino a riprendersela all’ultima occasione utile, a Santa Maria di Sala. Arrivato non senza polemiche dopo l’esclusione di Sam Bennett, non fa rimpiangere il compagno, contagiando tutti con il suo sorriso.
Giulio Ciccone (Trek-Segafredo), 8: Maglia Azzurra sin dal primo giorno con crono irriverente a Bologna, il grimpeur abruzzese corre con grande generosità, attaccando ogni volta che gli era possibile, riuscendo ad accumulare da subito un vantaggio importante, che solo il compagno Gianluca Brambilla (6,5) gli scalfisce per una tappa. Con il passare dei giorni la forma non cala e grazie alle sue continue scorribande si prende anche una tappa e un discreto 16° posto finale, con ancora tante energie a disposizione in terza settimana.
Pello Bilbao (Astana), 8: L’allergia gli impedisce di essere quello dello scorso anno, ma trova comunque modo per farsi notare. Partito a completa disposizione del suo capitano, si inserisce nelle fughe per fare da trampolino alla squadra, trovando invece così modo di andarsi a conquistare due splendide tappe.
Caleb Ewan (Lotto Soudal), 8: Il ritiro programmato chiaramente lascia sempre un po’ di amaro in bocca, ma con i suoi due successi lascia una impronta importante sulla corsa, confermandosi uno dei velocisti di riferimento in gruppo, soprattutto adesso che ha una squadra a quasi completa disposizione. Sprinter molto agile, sfiora anche il successo a Frascati, dimostrando di poter essere molto più di un velocista.
Arnaud Démare (Groupama-FD), 7,5: La anche sfortunata beffa della Maglia Ciclamino nulla toglie al suo Giro generoso, che ha voluto a tutti i costi portare a termine con determinazione. Venuto per conquistare una tappa e lottare per la Classifica a Punti, da subito corre per ottenere i suoi obiettivi, senza risparmiarsi, lottando ad ogni traguardo volante a sua disposizione. Se tutti i velocisti facessero sempre così…
Fausto Masnada (Androni-Sidermec), 8: Infaticabile attaccante, il bergamasco realizza da subito il suo obiettivo trionfando già a San Giovanni Rotondo. Da quel momento corre sulle ali dell’entusiasmo, attaccando il più possibile, centrando così altri due piazzamenti, due classifiche accessorie (Traguardi Volanti e Combattività), oltre ad un discreto ventesimo posto nella generale.
Valerio Conti (UAE Team Emirates), 8: Il suo Giro non si conclude come sperato, ma il 26enne romano dimostra in questo Giro di poter essere più di un gregario, ruolo che ha già dimostrato di saper ricoprire con grande efficacia, soprattutto al servizio di un Diego Ulissi (7) pronto quest’anno a ricompensarlo con grande lealtà e rispetto. La sua settimana in rosa è infatti dimostrazione di importanti capacità, in salita come a cronometro, che meriterebbero più spazio.
Dario Cataldo (Astana), 7,5: L’abruzzese è il gregario che tutti vorrebbero avere. Pronto a rinunciare alle sue ambizioni personali per il servizio della squadra, il corridore lancianese trova comunque modo di togliersi la più grande soddisfazione della carriera a Como, conquistando una tappa dal sapore di Lombardia. Nei giorni successivi è poi sempre al fianco del suo capitano, assieme ai vari Jan Hirt (7), Davide Villella (6,5) e un meno incisivo Ion Izagirre (5,5) per organizzare le numerose offensive kazake.
Damiano Cima (Nippo-Fantini), 7,5: La sua corsa aggressiva, che gli permette di spodestare Marco Frapporti (6,5) come super fuggitivo, viene premiata con lo splendido successo di Santa Maria di Sala. Praticamente da solo salva la spedizione degli #OrangeBlue in questa edizione.
Vincenzo Nibali (Bahrain-Merida), 7,5: Il siciliano è l’anima di questo Giro, attorno al quale ruotano tutte le strategie degli avversari. Pimpante sin dalla crono di Bologna, si ripete a San Marino, dimostrando di poter essere in grado di giocarsi il successo finale. Mai domo, prova come può a fare la differenza, correndo con lo sguardo di tutti addosso. Purtroppo per lui, l’eccessivo tatticismo lo porta a commettere l’errore, condiviso, di dover sottovalutare Carapaz, concedendogli due volte del tempo che non sarà più in grado di recuperare.
Primoz Roglic (Jumbo-Visma), 7,5: Per due settimane è l’uomo più forte, ma poi con il passare dei giorni dimostra di averne sempre meno. Il suo grande errore è chiaramente l’eccessiva marcatura su Nibali, ma d’altro canto senza una squadra era difficile chiedergli molto di più. Corre in maniera ordinata, cercando di limitare gli sforzi il più possibile e alla fine conquista un podio che comunque è il suo miglior risultato in carriera in un grande giro.
Bauke Mollema (Trek-Segafredo), 7,5: Corre intelligentemente per tutta la corsa, gestendosi alla perfezione, nella perfetta conoscenza dei suoi pregi e difetti. Poco appariscente, con la sua regolarità riesce a tenersi nelle posizioni alte della classifica, respingendo gli assalti di corridori probabilmente più forti in salita, ma spesso meno efficaci giorno dopo giorno.
Damiano Caruso (Bahrain-Merida), 7,5: Quasi costretto al ritiro dalla febbre, una volta ripreso si dimostra fondamentale per le ambizioni del suo capitano, probabilmente in assoluto il miglior gregario visto in questa edizione, lavorando sia in fase offensiva che difensiva con grande edizione. Se la corsa è rimasta esplosiva e aperta è anche grazie a lui, che con Domenico Pozzovivo (7,5) e Antonio Nibali (7) ha cercato di preparare al meglio il terreno per lo Squalo dello Stretto. È lecito pensare che senza i suoi problemi di inizio corsa, nelle prime tappe di montagna le cose sarebbero potute andare molto diversamente. E di conseguenza l’intero Giro sarebbe potuto essere diverso.
Esteban Chaves (Mitchelton-Scott), 7: Non è ancora tornato ai suoi livelli, ma vederlo ritrovare buone sensazioni in terza settimana, fino al successo di San Martino di Castrozza è il segnale migliore che potessimo chiedere. Con le sue fughe, asseieme a quelle di Mikel Nieve (6,5) e Lucas Hamilton (6,5), il colombiano riscatta parzialmente la delusione per la formazione australiana, che sperava di ottenere molto di più.
Cesare Benedetti (Bora-hansgrohe), 7: Una vita da gregario per un giorno da star. Il corridore trentino è un faticatore e anche quando vince lo ricorda a tutti e per questo merita ancor più rispetto. Dopo anni passati in fuga, più per gli altri che per sé stesso, il giusto premio arriva a Pinerolo, con un successo in una volata ristretta dopo una tappa dura, corsa con l’intelligenza di chi conosce i propri limiti.
Chad Haga (Team Sunweb), 7: Lo statunitense chiude il Giro con il successo della rinascita. Buon cronoman, discreto scalatore, doveva essere un prezioso gregario di Tom Dumoulin, ma quando il capitano esce di scena deve reinventarsi, come tutta la squadra. Punta così tutto sulle crono, facendosi dimenticare, spesso correndo nel gruppetto dei velocisti anche se potenzialmente potrebbe stare molto più avanti per le sue qualità. Tutte energie risparmiate per l’ultimo giorno, quello dell’emozionante trionfo di Verona.
Nans Peters (Ag2r La Mondiale), 7: Sottovalutato, il francese dimostra le sue qualità involandosi verso il successo ad Anterselva, riscattando le delusioni dei suoi capitani. Corridore generoso e coraggioso, il 25enne transalpino conferma che la scuola dei baroudeur è sempre viva.
Pavel Sivakov (Team Ineos), 7: Ereditati i galloni di capitano dal coetaneo Egan Bernal, dopo il successo al Tour of the Alps si trova dunque il peso di dover guidare una delle squadre più blasonate. Con grande determinazione e abnegazione si addossa l’arduo compito senza proclami, costruendo il suo risultato con la pazienza della formica, lottando praticamente sino all’ultimo giorno per la conquista della Maglia Bianca.
Valentin Madouas (Groupama-FDJ), 7: Arrivato senza pretese, con la voglia di scoprire e di scoprirsi, il giovane corridore transalpino è tra gli attaccanti più in vista di questa edizione, centrando spesso la fuga. Più volte piazzato, fatica solo nella tappa di Pinerolo, mentre anche in terza settimana dimostra di avere ancora energie, fino a riconquistare un discreto 13° posto conclusivo, sempre correndo con generosità.
Miguel Angel Lopez (Astana), 6,5: Il suo risultato finale è pesantemente condizionato dalla sfortuna, che più di una volta ci mette lo zampino, costringendolo a rincorrere nei momenti peggiori. Con la sua Astana affronta la corsa di petto, senza piangersi addosso e sempre pronto a lottare e giocarsela, pur sembrando comunque spesso un gradino sotto i migliori, probabilmente non al suo miglior livello.
Matteo Moschetti (Trek-Segafredo), 6,5: Ancora non ne ha per giocarsela con i big, ma più volte si getta nella mischia senza timore reverenziali e se la gioca a viso aperto. Al suo primo anno da professionista si conferma un talento tra i più interessanti, che può togliersi grandi soddisfazioni in futuro.
Jan Polanc (UAE Team Emirates), 6,5: Il perfetto gioco tattico della squadra emiratina lo lancia verso la Maglia Rosa e possibili sogni di classifica che tuttavia vanno scemando con il passare dei giorni. Si difende come può, ottenendo una buona visibilità per lui e per la squadra, pur dovendo cedere, confermando la sua dimensione.
Hugh Carthy (EF Education First), 6,5: Il giovane britannico ha disputato un Giro molto coraggioso, animando spesso la corsa insieme ai compagni Tanel Kangert (5,5) e Joseph Dombrowski (6), più attesi di lui ma decisamente meno incisivi, e chiudendo in top ten la cronometro di San Marino, la tappa di Como e la durissima frazione con arrivo a Ponte di Legno, unico a seguire Nibali sul Mortirolo. Dopo alcune prestazioni non proprio all’altezza, in queste tre settimane ha dimostrato che potrà diventare un interessante uomo di classifica.
Giovanni Carboni (Bardiani-CSF), 6,5: Il 23enne alfiere del #GreenTeam conferma il proprio talento con un esordio in un Grande Giro piuttosto interessante. Centra la “fuga bidone” di San Giovanni Rotondo, che gli permette di indossare per alcuni giorni anche la maglia bianca, e poi si fa vedere di nuovo a San Martino di Castrozza con un bel quarto posto. Promosso.
Mattia Cattaneo (Androni-Sidermec), 6,5: Sfiora il successo di tappa a Como, battuto da Cataldo, non riuscendo così ad emulare il compagno di squadra Masnada, che ci era invece riuscito a San Giovanni Rotondo. Anche lui però si cala perfettamente nel clima di una Androni-Sidermec scatenata che è riuscita ad inserirsi per 13 volte, su 21 tappe, nella top ten di giornata.
Ilnur Zakarin (Katusha-Alpecin), 6: Il russo parte con ambizioni di classifica ma vive un Giro di alti e bassi. Perde terreno a L’Aquila ma poi, con il successo a Ceresole Reale, rientra prepotentemente nelle zone alte della classifica generale. Potrebbe da quel momento spaventare, ma non riesce a confermarsi nelle posizioni che contano. Alla fine chiude decimo, grazie alla sua tenacia, che lo vede andare in fuga per anticipare.
Rafal Majka (Bora-hansgrohe), 6: Sufficienza striminzita per il polacco, capitano di una squadra che in stagione si è finora rivelata tra le più forti e vincenti. Il piazzamento finale lo lascia nell’eterno limbo tra gloria e anonimato, incapace di compiere quel definitivo salto di qualità che ad inizio carriera sembrava potergli appartenere. Già settimo, sesto e quinto nelle tre partecipazioni passate, non migliora in calce a una gara che affronta da regolarista nelle prime due settimane e nella quale cede il passo nell’ultima, quando si trova costretto esclusivamente a difendersi. Il meglio di sé, complice la marcatura stretta tra Nibali e Roglic, lo dà salendo verso Lago Serrù. Il bilancio finale è però mediocre: sebbene riesca a tornare nella top ten di un GT, come non era riuscito a fare nel 2018 tra Tour e Vuelta, non è mai competitivo per la vittoria di tappa né può ambire a quella maglia di miglior scalatore con cui spesso ha nobilitato le sue esperienze sulle tre settimane.
Davide Cimolai (Israel Cycling Academy), 5,5: Tanto tuonò che non piovve. Al via sull’onda lunga dell’entusiasmo generato dalla tripletta (due tappe più classifica generale) alla Vuelta a Castilla y Leon e dal quarto posto al GP di Francoforte, il friulano inanella una serie di piazzamenti (6) in top ten senza mai essere realmente della partita per la vittoria finale. Con i compagni totalmente votati alla sua causa, tanto da non entrare nelle fughe per restare al suo fianco nei finali di tappa, e con i buoni segnali contro le squadre World Tour già trasmessi anche alla Tirreno-Adriatico, era lecito attendersi qualcosa in più. Soprattutto sul traguardo di Santa Maria di Sala quando, senza più tanti velocisti puri all’appello, non legittima il lungo e redditizio lavoro svolto dalla squadra.
Fernando Gaviria (UAE Team Emirates), 5,5: Torna a casa dopo appena una settimana a causa di un persistente problema al ginocchio che gli impedisce di essere al top. Tutto sommato, al netto dei problemi fisici, la sua spedizione non è neppure da cestinare, considerando che si porta via un successo. Quello ottenuto a tavolino a Orbetello, per il declassamento di Viviani, non lo fa però gioire e non modifica la percezione di essere ancora lontano dai fasti degli anni scorsi. Prima di cedere procedendo verso L’Aquila, aveva colto anche un quarto posto a Fucecchio e la piazza d’onore alle spalle di Ackermann a Terracina. Al Tour de France il compito di stabilire se i guai fisici saranno un lontano ricordo e se gli automatismi con i compagni del treno, che nella Corsa Rosa ha presto perso un vagone prezioso come quello del connazionale Juan Sebastian Molano, siano stati perfezionati.
Davide Formolo (Bora-hansgrohe), 5,5: In costante tensione tra la speranza di vincere una tappa e il sogno di fare classifica, il veronese manda in scena un ibrido insoddisfacente. Giunto ai nastri di partenza sulla scorta della grande prestazione alla Liegi-Bastogne-Liegi, parte con il freno a mano leggermente tirato ma rientra prepotentemente in classifica grazie alla fuga di L’Aquila, dove però sbaglia i tempi nel finale fallendo la chance di aggiudicarsi un successo che sembrava alla sua portata. Il faccia a faccia con i big nella seconda settimana gli fa capire di essere ancora un gradino indietro, così rientra in classifica centrando di nuovo la fuga verso Anterselva, dove deve nuovamente accontentarsi del terzo posto trovando stavolta avversari più in palla di lui. Nelle frazioni decisive crolla definitivamente, lasciando anche quel decimo posto nella generale che avrebbe fatto il paio con quelli già conquistati l’anno scorso e nel 2017. Che sia l’indicazione definitiva per vederlo indirizzare tutte le sue energie future sulle corse di un giorno?
Elia Viviani (Deceuninck-Quick Step), 5,5: Il Giro del campione italiano inizia con il secondo posto (alle spalle di Ackermann) a Fucecchio e si conclude, idealmente, appena 24 ore dopo. La vittoria negatagli dalla Giuria per cambio di direzione ad Orbetello innesca infatti un meccanismo di autodistruzione nel quale è difficile stabilire dove finiscano i limiti di condizione fisica e subentri la componente mentale. Di certo, con lo stomaco riempito da quell’affermazione, si sarebbe raccontata un’altra storia. Sfumata la possibilità di riconquistare la Maglia Ciclamino, il veronese prova ad attingere a quello che gli resta nel serbatoio ma si ferma a un passo dal successo anche a Pesaro e Modena, gettando definitivamente la spugna dopo Novi Ligure, quando la testa lo ha ormai abbandonato del tutto. Il fatto che a costringerlo al secondo posto siano tre rivali diversi (Ewan e Démare dopo Ackermann) è un dato su cui riflettere. Dalla tappa di Jesi alla Tirreno-Adriatico qualcosa sembra essersi rotto, ma l’Olimpionico dell’Omnium ha dalla sua personalità e classe per ribaltare sulle strade del Tour de France una stagione finora in chiaroscuro.
Giacomo Nizzolo (Dimension Data), 5: Abbonato alle piazze d’onore e mai a segno (quando vi riuscì venne declassato) in un Grande Giro, l’ex campione italiano è assente ingiustificato in una Corsa Rosa che abbandona dopo dodici tappe. Nelle volate disputate fino ad allora coglie due quinti posti, ad Orbetello e Modena, un ottavo (Novi Ligure) e un nono (Pesaro), nonostante i compagni di squadra si prodighino spesso per lanciarlo nella migliore posizione possibile. Decisamente troppo poco per un corridore che, da tre stagioni a questa parte, fatica oltremodo per ritrovare quel colpo di pedale che tante soddisfazioni gli aveva regalato nei primi sei anni da professionista.
Ben O’Connor (Dimension Data), 5: Il giovane scalatore australiano non riesce a dar seguito alla bella vittoria di tappa e al piazzamento nella top ten finale del Tour of the Alps. Alla sua seconda partecipazione nella Corsa Rosa, dopo la promettente prestazione dell’anno scorso, si limita a galleggiare su livelli medio-bassi, allineandosi a quelli di una squadra che non riesce mai a lasciare il segno. Non centra mai la fuga di giornata e non è protagonista negli ordini d’arrivo, restando nelle posizioni di rincalzo di un Giro al quale si era affacciato senza dubbio con aspettative maggiori di quanto il risultato finale lasci credere.
Jakub Mareczko (CCC Team), 5: Si chiude senza sussulti e dopo appena 12 tappe il suo primo Giro corso in una formazione World Tour. Nelle volate della prima settimana non va oltre il sesto posto ad Orbetello, evidenziando un feeling tutto in divenire con i nuovi compagni e una condizione non trascendentale che gli impedisce di lottare – come aveva fatto nelle due precedenti partecipazioni ottenendo per due volte una piazza d’onore – per il successo. Nel complesso sembra ancora pagare la scarsa attitudine a duellare con i migliori velocisti della scena internazionale, retaggio dei trascorsi in una Professional e dell’attitudine a misurarsi su palcoscenici notevolmente inferiori. Finisce fuori tempo massimo ben prima che arrivino le vere salite, ribadendo quei limiti che devono necessariamente essere levigati per poter innalzare l’asticella delle proprie ambizioni.
Simon Yates (Mitchelton-Scott), 5: Consegna un’inattesa trasformazione dal cigno che fu per 18 tappe della scorsa edizione al brutto anatroccolo che, in questa, non trova mai il giusto colpo di pedale. Dopo una più che incoraggiante partenza, scandita dal secondo posto nella crono d’apertura di Bologna, non corre rischi nella prima settimana, prima dell’incredibile cortocircuito nei primi arrivi in salita, dove proprio un anno fa aveva costruito quel tesoretto in classifica generale poi dilapidato verso Bardonecchia. Mai in grado di restare sulle ruote dei migliori, dà timidi cenni di ripresa nel secondo weekend, salendo sul podio di tappa a Courmayeur e Como, quando approfitta anche dello scarso controllo che riceve essendo ormai fuori classifica. Nell’ultima settimana non alza il livello della sua prestazione e si smarrisce nell’anonimato, incapace di restare coi big e di azzeccare una fuga che possa salvare in extremis una partecipazione altamente deludente.
Bob Jungels (Deceuninck-QuickStep), 4,5: Il lussemburghese sbaglia praticamente tutto in questo Giro. Probabilmente già a partire dalla preparazione, che sembra una scommessa persa. Attardato praticamente sin da subito, senza riuscire neanche a fare la differenza nelle sue cronometro, l’ex Maglia Bianca prova a farsi valere nelle fughe, ma anche in quelle occasioni non ne combina una giusta, sbagliando costantemente tempi e modalità per le sue offensive.
Tom Dumoulin (Sunweb), sv: Un Giro da dimenticare per il vincitore dell’edizione del Centenario e secondo classificato dodici mesi or sono. Deludente nella cronometro d’apertura, quando non riesce a rispettare il pronostico della vigilia chiudendo 5° a 28″ da Roglic, è costretto ad alzare bandiera bianca nel tratto di trasferimento verso il via della quinta tappa, complice il dolore al ginocchio sinistro provocato dalla caduta del giorno precedente a pochi chilometri dal traguardo di Frascati. Con lui la Corsa perde un protagonista annunciato e la possibilità di restare aperto a scenari tattici completamente differenti. Ora il mirino si sposta sul Tour de France, dove punterà a scalare quel gradino mancato l’anno scorso e che gli permetterebbe di interrompere la lunga egemonia del Team Ineos.
Tao Geoghegan Hart (Team Ineos), sv: Investito dei gradi di capitano della formazione britannica dopo l’ottima parentesi al Tour of the Alps al servizio di Pavel Sivakov, condita da due vittorie di tappa, lo scalatore britannico inizia col piede giusto piazzandosi settimo – e in linea con quasi tutti i big – nella cronometro di Bologna. A quel risultato non riesce però a dar seguito, uscendo presto di classifica e della corsa, complice una caduta in fuga scendendo dal Col de Lys nel corso della tredicesima tappa che gli provoca una frattura della clavicola. Difficile pensare che potesse lottare per una posizione di vertice, essendo già lontano quasi 8′ da Roglic, ma spiace non aver potuto verificare la sua tenuta nella terza settimana in quella che era la sua seconda partecipazione in carriera in un GT.
Sacha Modolo (EF Education First), sv: Scende dalla bici dopo sette tappe, ma di fatto il suo Giro non è neppure iniziato. Mai della partita negli arrivi a ranghi compatti, dove non va oltre un decimo posto ad Orbetello, lo sprinter di Conegliano si ritira – stremato – procedendo verso L’Aquila. La motivazione va rintracciata nella recente scoperta della celiachia, infiammazione cronica che non ha potuto combattere in tempi così stretti avendo mangiato alimenti a base di glutine fino a pochi giorni dal via della Corsa Rosa.
Sam Oomen (Sunweb), sv: Nono un anno fa, non ha modo di confermare la sua (eventuale) crescita. Partito come gregario di Tom Dumoulin, viene fermato dall’ammiraglia quando il capitano cade a pochi chilometri dal traguardo di Frascati, perdendo di fatto la possibilità di restare ai piani alti della generale. Vi rientra centrando la fuga verso San Giovanni Rotondo, ma nelle giornate successive, complice una caduta, conferma di non poter lottare alla pari con i big. Fino al ritiro verso Courmayeur, conseguenza diretta di un secondo incontro ravvicinato con l’asfalto che gli procura la frattura dell’anca e lo costringerà a saltare anche il Tour de France.
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